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Otium e Negotium: verso la società della cura

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    Edita | SynaxisValencia
  • 3 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Angelo Rizzo


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La professione di ingegnere consulente può affiancarsi a un impegno parallelo nella divulgazione culturale, soprattutto attraverso i canali social. Tale attività nasce dalla volontà di condividere il patrimonio di conoscenze maturato nel tempo e, al contempo, di ispirare gli altri a intraprendere percorsi di maggiore consapevolezza. In quest’ottica, la conoscenza non viene considerata come qualcosa da conservare passivamente, ma come una risorsa dinamica, destinata a raggiungere chi è alla ricerca di risposte, strumenti o stimoli.


Nel corso di questo percorso, si incontrano spesso individui che cercano di dare un senso profondo all’utilizzo del proprio tempo, andando oltre la semplice dimensione del lavoro retribuito. In una società dominata dalla velocità e dall’efficienza, parlare del valore del tempo può sembrare un lusso. Tuttavia, per chi sceglie di impiegarne una parte a beneficio degli altri, tale riflessione assume un carattere tutt’altro che astratto: si traduce in azioni concrete, consapevoli e orientate al bene comune.


Un punto di partenza illuminante ci giunge da due termini della lingua latina: otium e negotium. Sebbene possano sembrare antitetici, custodiscono un insegnamento di grande attualità per chi si dedica alla cura.

Nell'antica Roma, l'otium non era ozio passivo, bensì un periodo dedicato alla riflessione, allo studio e allo sviluppo personale. Rappresentava quello spazio in cui l'individuo si riconnetteva con se stesso, ritrovando significato, direzione e profondità. Pensatori del calibro di Seneca e Cicerone lo consideravano una componente nobile e imprescindibile per una vita piena. All'opposto stava il negotium, l'assenza di otium: il lavoro, gli impegni pubblici, le occupazioni quotidiane. Queste due sfere, nella visione romana, dovevano equilibrarsi: al tempo dell’azione doveva affiancarsi un tempo di pausa, ascolto e rigenerazione, quello che Seneca chiamava “otium cum dignitate”. Anche Aristotele, nell'"Etica Nicomachea", operava una distinzione tra la vita attiva (bios praktikos) e quella contemplativa (bios theoretikos), riconoscendo a quest'ultima una superiorità dignitaria.


Questo equilibrio si è incrinato nei secoli. Nel Medioevo, l'ozio fu associato al vizio dell'accidia, mentre l'operosità divenne sinonimo di virtù. In epoca rinascimentale, figure come Lorenzo de' Medici intendevano recuperare questo spazio, creando a Firenze gli Orti di San Marco: un giardino dove giovani artisti potevano studiare, riflettere e creare, liberi dalle pressioni economiche. Uno di loro era Michelangelo. Quel luogo, sebbene così lontano nel tempo, ci insegna ancora oggi l'importanza di avere spazi in cui la cura dell'anima e del talento viene prima del semplice fare.


Filosofi come Heidegger ci rammentano che l'essenza umana non è definita solo dall'agire, ma dal Dasein, dall'"esser-ci" autentico nel mondo. E questo "esser-ci" si fonda sul tempo, inteso non come sequenza cronologica, ma come dimensione esistenziale. Il tempo che conta non è quello che misuriamo, ma quello che viviamo. La mistica e filosofa Simone Weil affermava che l'attenzione pura è una forma di preghiera: quando ci fermiamo ad ascoltare qualcuno profondamente, stiamo compiendo un atto di umanità radicale, forse più potente di innumerevoli azioni.


Con la Rivoluzione Industriale, il lavoro divenne il fulcro della società. Oggi, nell'era dell'iperconnessione e dell'iperproduttività, rischiamo di smarrire il senso del tempo "gratuito", non finalizzato all'efficienza ma alla relazione, all'ascolto e alla pura presenza.

Eppure, chi si prende cura di un'altra persona conosce, forse più di chiunque altro, il valore dell'otium. Prestare assistenza significa anche saper sostare, ascoltare senza fretta, osservare con dedizione. Sono momenti che non generano "risultati" tangibili, ma innescano un cambiamento profondo, sia in chi riceve che in chi dona. Chi assiste con amore sa di non poter avere premura. I gesti si fanno misurati, le parole acquistano peso, il tempo si espande. In quelle situazioni, il negotium (l'azione) e l'otium (la presenza) si fondono. Si agisce, sì, ma in una modalità differente: relazionale, umana, persino spirituale.


Il pericolo contemporaneo è di essere travolti da un negotium pervasivo. Oggi, più che mai, è necessario ripensare la nostra gestione del tempo. Si tratta di recuperare spazi di otium non solo per noi stessi, ma anche da offrire agli altri. Perché solo chi ha tempo da donare può essere veramente presente. E solo chi si ferma a riflettere può agire con autentica profondità.

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